CASA MACCHI

Casa Macchi è stata per me rivelazione e insieme conferma di quanto la bellezza del nostro territorio non debba essere cercata nell’eccezionale, nel monumento, nel caso singolo. Le eccezioni sono sporadiche cuspidi nel diagramma piatto dei morenti. L’eccezione conferma una regola di non-bellezza, percentuale ormai altissima di brutti paesaggi generati dall’irruzione di forme architettoniche algide, estranee a qualsiasi vissuto; nate a tecnigrafo, non fuse nel tempo e nell’identità.

Casa Macchi è, invece, il tempo. È memoria, bellezza.

Non è l’eccezionale, ma involontariamente lo rappresenta, protetta come quelle specie a rischio d’estinzione; con la differenza che il ripopolamento di una fauna in pericolo è possibile: di case Macchi mai più se ne vedrà l’eguale. Perché le sue forme sono state rimosse per sempre dalla protervia immemore tipica del modernismo

Il valore di Casa Macchi non risiede nella classe energetica o nella comodità, parametri tecnici che soppesano e condizionano il nostro quotidiano. La bellezza di casa macchi è nella sua poetica d’appartenenza, nei semplici piattelli smaltati e lampadine nude, nel glicine che veste il portico, nelle soglie spesse, nel legno logoro e smussato dell’enorme portone, come delle pensiline in ferro battuto. L’ornamento è il tempo, che consuma e modella. Ci si sente a casa perché è un luogo dell’anima: parla di noi e di com’era il mondo prima che si arrivasse a dover proteggere una casa la cui forma e andamento urbano erano all’ordine del giorno, in perfetto accordo con una casa di ringhiera o una dimora signorile, con una pieve e un muro d’orto.

La straordinaria ordinarietà di casa Macchi… ossimoro necessario a comprendere la distanza che ci separa non dalla reggia di Versailles, ma da una casa il cui architetto è ignoto e delle quali il Bel Paese aveva più che abbondanza, in ogni piccolo centro abitato.

Fotografarla è stato un onore. Il tempo per osservare, ed il silenzio, compagni insostituibili.

Ringrazio di cuore il FAI per questa opportunità.